sabato 27 febbraio 2010

Ammutolito.

Chi ha visto recentemente la Muti, sarà rimasto in stato interessante.
Nel senso di incuriosito: era realmente lei o era una nuova simil starlette (o star-letto?).
Purtroppo è lei.
Io che la ricordavo così bella nei film di Celentano, me la sono ritrovata statua di cera.
Ma cosa ha fatto? Anzi, cosa si è fatta? Semplice, rifatta.
Al punto da lasciar vedere il trucco e quindi anche l'inganno.
Come se io domani andassi in giro per Milano con una fluente coda di capelli.
Mi chiedo a cosa serve rifarsi, se tutti lo notano.
Nella perdita del proprio pudore si perde anche l'accettazione di sè.
Oltre al rispetto del pubblico per il quale hai scelto di andare sotto le grinfie di un chirurgo con le pupille marchiate dall'euro.
Il gioco vale la candela?
Non per le statua di cera.

mercoledì 24 febbraio 2010

Il mago di Ozpetek.

Il lato felice del mio lavoro è anche questo.
Entrare in contatto con persone che non incontreresti tutti i giorni.
E infatti non succede tutti i giorni, ma può capitare ogni tanto.
In certi casi ti possono deludere, in altri invece stupire.
Nel caso del regista, solo ottimi pareri.
Simpatico, friendly, anche umile a tratti.
Al punto da farsi trattare come un amicone dopo pochissimo tempo.
Prese in giro incluse.

martedì 23 febbraio 2010

Vascoooo... fiascoooo.

Alla fine è il quarto concerto di Vasco che vedo in 6 anni.
I numeri possono spaventare, se considerate il fatto che Vasco non mi piace.
Eppure, nonostante tante cose, vedo uno spiraglio di luce.
Credo che il palazzetto dello sport sia più ottimale per le ormai residue forze del rocker emiliano. Perché dall'energia si passa all'intimità, più congeniale per molte sue canzoni e più facile da ottenere in un Forum che in uno stadio da 80.000 persone.
Partiamo dal presupposto che l'80% delle canzoni eseguite non le conoscevo (tutte vecchie).
Tralasciamo il codice estetico del Vasco fatto di equilibri instabili sulle casse, di toccate di palle, di camminate leggiadre anche se di leggiadro in lui non c'è nulla.
Omettiamo qualsiasi considerazione sul primate seduto vicino. Forse l'uomo non ha fatto molta strada in 2000 anni di storia. Almeno, quell'uomo.
Certo, se togliamo togliamo, rimane ben poco.
Non è vero del tutto.
La scenografia, per la prima volta, non era male (negli altri concerti era pessima).
Meno tempi morti hanno permesso un'emozione continua e non a bocconi.
E il Blasco che strimpella da solo la chitarra nella solitudine del palco probabilmente ha acceso l'animo di molti.
Ma due sono le cose da ricordare.
La prima è la camminata finale dei chitarristi che sfilano come modelli sul palco, accompagnati dalla canzone più bella della serata: "Such a shame" dei Talk Talk.
La seconda è il bassista, detto Il gallo (s'intravede nella foto sulla destra).
Copia italiana triste di Keith Richards dei Rolling Stones.
L'unico a fumare mentre suona. L'unico a salutare il pubblico con una sigaretta in una mano e nell'altra una lattina di birra.
Molto rock.

Ammetto le mie debolezze.


Non c'è niente da fare.
Alla fine, l'anima pop viene fuori.
Erano un pò d'anni che avevo abbandonato Grignani, dopo la fulminazione sulla via di Damasco ricevuta dalla Fabbrica di plastica (album stupendo).
Però se uno ti piace, ti piace.
Non trovi spiegazioni ammissibili.
E' così. E' una roba "de panza".
Prendi questa canzone.
Considero il testo triste e non originale.
Però la canticchio e mi piace pure.

lunedì 22 febbraio 2010

BEST BO9K.

La giuria ha votato.
Nonostante la pochezza di emozioni fra le letture sostenute nel 2009.
Ma un vincitore deve esserci.
Quest'anno, forse, più per assenza di concorrenti reali che per reali, appunto, motivi.
Il premio come miglior libro da me medesimo letto è assegnato (rullo di tamburi) ad Ammaniti.
Il ritorno alle origini evidentemente ha pagato. (la bustarella per farlo vincere, anche se è grazioso come tutti i libri dell'autore) Perché le opere vincitrici nelle precedenti edizioni sono di un altro livello. Ricordiamole: La trilogia della città di K. nel 2007 e Lunar Park nel 2008.

ps: chi fosse interessato invece al più brutto dell'anno (al punto da farmi percepire le sue pagine come macigni) chieda in libreria Pigmeo di Palahniuk.

mercoledì 17 febbraio 2010

lunedì 15 febbraio 2010

I wanna dance.


Mister Maglietta bagnata.
Surfista della pista.
Scandalo alla penombra.
Crossover del tempo.
Dj del sudore.
Scimmia elettronica.
Rapero di parole inventate.
Mani più veloci del west.
Giostra del vomito.
Tarantola veneta.
Passo avanti.
Passo indietro.
Passo e chiudo.

venerdì 12 febbraio 2010

Chi tradì il 3D.

Ho visto Avatar.
Immaginatevi un ragazzo che nella penombra generale preme il tastino light del suo g-shock per rendersi conto di quanto tempo è trascorso e quanto resisterà prima di alzarsi.
Sì, certo.
Visionario.
Immaginifico.
Innovativo.
Però alla fine il gioco scopre le sue carte e non vale più.
Mi stanca e mi annoia.
Credo che il succo della storia debba essere alla fine comunque il succo.
Se la storia è spremuta, puoi metterci tutto il colorante che vuoi, ma non mi nutrirà mai.
E' un film che va "visto".
Nulla di più.
Finita la proiezione non ti porti nulla a casa.
Tranne un leggero mal di testa dettato da 2 ore e mezza di 3D.

ps: alzo la mano. Per il probabile Avatar 2 che uscirà fra una decina d'anni io avrò un impegno.

Naming is boh.

Settimana scorsa è morto l'inventore del Frisbee.
Il fatto di per sé passeggero si è soffermato un pò di più nella mia testa.
Uno pensa a chissà quale motivo ci sia dietro il nome frisbee.
Invece deriva dalla pasticceria Frisbie Pie Co., i cui tegami erano usati dall'inventore come appunto frisbee.
Questo mi ricorda come il naming di un oggetto sia un fatto quasi incontrollabile.
E' l'utilizzo e il ricordo nel tempo a renderlo bello.
Ma l'utilizzo dipende ovviamente dall'interesse che suscita l'oggetto in questione.
Ergo, un nome perfetto per un prodotto poco interessante sarà un flop.
Un nome bruttino per un oggetto di successo sembrerà un nome azzeccatissimo.

giovedì 11 febbraio 2010

Io sono Lacrima Facile.

La storia di un uomo che pianse.
Scoprì un paio di rubinetti Starck sotto gli occhi.
Uno sciamano, a sua insaputa, spostò le sue emozioni dal cervello allo stomaco.
Divenne una persona liquida.
Un corpo dalla lacrima facile.
Calibro 9.
Che ferisce al primo sguardo.

ps: altrimenti non si spiega come possa scendermi la lacrimuccia, guardando il Grande Fratello.

martedì 9 febbraio 2010

La teoria dei nomi.


Nomina sunt omina.
Ne sono sempre più convinto.
Non per segni astrali, per cabale varie, profezie maya o previsioni numerologiche.
Ma per un mio personale calcolo statistico.
Le donne che rispondono a determinati nomi o mi catturano per la loro bellezza o per una certa sintonia di carattere. Direi quasi sempre.
Martina.
Valentina.
Gaia.
Elena.
Claudia.
O forse il gioco è un altro. Sono nomi ai quali associo sensazioni talmente positive che influiscono sulle mie reali considerazioni. Un pò come l'ultimo libro del tuo autore preferito. Forse non lo leggerai tutto d'un fiato, ma più o meno ti piacerà.

Ps: se veramente il nome trasmette un senso al suo corpo, allora mia figlia si chiamerà Costanza.

lunedì 8 febbraio 2010

Il razzismo di Abercrombie.

Quando entri da Abercrombie, tutto è meraviglioso.
Sei pervaso da un'ondata di essenze che ti avvolge e non ti molla più, quasi a ricordarti che il sogno è qualcosa di concreto e non effimero.
Passeggi fra orge trepidanti di umani danzanti all'urlo dello shopping più sfrenato che si fermano a chiedere indicazioni stradali ai commessi, moderni cacciatori di taglie, loro alleati.
Commessi.
Parola così vana e inetta nel descrivere quelli che sono veri e propri figli di Venere.
E qui casca l'asino, il bue, il toro, la cavalletta e pure il moscerino affamato di riposo.
Perché i commessi da Aber sono tutti bellissimi. Soprattutto le donne, modelle che si liberano dal calco michelangelesco e avanzano baciate dagli sguardi desolati di noi uomini.
Dalla loro bocca sfocia il razzismo passivo più subdolo.
Perché, mi chiederete. Perché estremizzano gli opposti, squarciano i compromessi, non accettano patti di stabilità. Se davanti a me, vedo solo Elena di Troia, chiunque non la rappresenti in quel momento è inevitabilmente un cittadino della periferia più estrema.
E' inevitabile pensarlo quando dopo 4 piani di modelli statuari, ti appare davanti un corpo esile e grassoccio che passa la scopa per raccogliere le poche e invisibili sporcizie lasciate dall'uomo visibile. Quando tutto è fantastico, il normale appare come uno scarafaggio.

Questo colpisce i miei occhi ogni volta che entro da Abercrombie.
Non la bellezza delle commesse, ma la bruttezza degli addetti alla pulizia.
Vorrà dire che all'entrata, farò una foto con il carrello delle scope.