martedì 7 ottobre 2008
Dressed to amaze.
Ieri sera ho visto per l'ennesima volta uno dei miei film preferiti in assoluto: Vestito per uccidere di De Palma. Questo film ha tutti gli elementi che più mi esaltano, sia a livello di contenuti che a livello di regia.
La bellezza in genere dei suoi film sta nella spiegazione visiva della scena. De Palma nasce come fisico e come tale affronta il cinema. Ovvero in modo scientifico. Non c'è stacco, non c'è montaggio serrato, non c'è visione incompleta, non c'è negazione dell'immagine. Lo svolgimento della scena ha tutto il tempo necessario per svilupparsi ed essere capita. Ogni persona ha un ruolo definito, un percorso chiaro da seguire, ogni cosa ha una sua posizione. Le pedine si muovono secondo la regola del causa/effetto. Se noi abbiamo gli elementi ben chiari, sapremo quello che succederà. Pensate alla scena della stazione degli Intoccabili. La camera segue tutto. Ci fa vedere tutto. Nulla viene perso. De Palma non mi inganna mai. Mi fa vedere le cose come stanno. Sta a me stare attento.
In Vestito per uccidere questa sua pratica viene seguita con grandi risultati. Ci sono almeno 3 momenti in cui il serial killer è presente sulla scena, senza che venga chiaramente notato da noi. Ma c'è. E non è vestito in borghese. Un esempio? Quando Angie Dickinson si avvicina al taxi del suo amante, la camera passa davanti ad un gruppo di persone dove primeggia il serial killer. Eppure non lo notiamo. Sembra essere un semplice passaggio di macchina, ma in realtà il regista ci fa vedere già il colpevole. De Palma è così.
Fino a ieri sera credevo d'aver colto ogni particolare di questo film. Mi sbagliavo. Il regista era riuscito a fregarmi. Perché?
C'è una scena all'inizio del film. Quando tutto deve ancora succedere.
Siamo nello studio del dottore.
La macchina da presa è ferma e inquadra due ambienti nello stesso momento: il dottore nello studio che parla al telefono da una parte e l'entrata dello studio dall'altra. Fra i due ambienti c'è un muro che divide la scena simmetricamente.
Lo spettatore non può avere una grande attenzione perché si ritrova a seguire due scene nello stesso momento: il dottore al telefono ed Angie che entra dalla porta.
Ma è una semplice scena di raccordo. E' un esercizio stilistico. Nulla di più.
Credevo.
Perché lì, in quei 3 secondi, c'è tutto il film.
Solo ieri me ne sono reso conto.
All'ennesima visione.
Perché?
Quando Angie entra nello studio, incontra un'altra donna che invece esce. La si intravede pochissimo, un secondo o poco più. Probabilmente è il cliente precedente. Il nostro cervello gli attribuisce poco valore e la ignoriamo. Sbagliando. Perché non cogliamo un particolare importate di quella donna: è in tutto per tutto simile al serial killer (anche se non lo è).
Il film è spiegato.
De Palma ci ha già detto tutto.
Lo studio, il dottore, il serial killer ed Angie come prossima vittima.
Abbiamo tutti gli elementi del film in mano.
Certo, questo particolare verrà colto da 10 persone su 100.000.
Ma c'è ed è solo il nostro occhio pigro a non coglierlo.
Capito perché adoro questo regista?
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1 commento:
De Palma ha sempre apprezzato Dario Argento ed è evidente come entrambi giochino con il tema della visione. Ma in modo diverso. Argento ti fa vedere le cose, facendoti credere altro. De Palma ti fa vedere e basta. E comunque le scene del museo e dell'ascensore di Dressed to kill si mangiano qualsiasi cosa del nostro amato regista italiano.
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