Un ricordo mi lega a loro.
Alle medie le rubavo a mio fratello per fare il figo durante l'ora di ginnastica.
Le trovavo così trendy da sottrarle la notte prima silenziosamente.
C'è un piccolo particolare.
Mio fratello indossa il 42.
Io il 44.
ps: dopo tanta sofferenza non potevo non comprarle per il loro trentennale.
ps2: 30 anni? ma quanti anni sono passati?
martedì 23 marzo 2010
Esco a farmi una vasca.
Entro alla Cozzi.
Dal nome potrebbe sembrare una piscina orribile, invece si presenta bene.
E soprattutto è a 3 minuti da casa mia.
Alla cassa mi lascio affascinare dall'edilizia fascista.
La frase del D'annunzio scolpita in alto mi conquista del tutto.
Ci siamo. E' lo sport per me.
E per la mia schiena che ultimamente reclama attenzioni.
Pago.
Chiedo informazioni.
E' bello come diano sempre tutto scontato.
Tranne l'abbonamento.
Il metodo migliore è sempre quello di seguire la persona più avanti che avanza con passo sicuro.
La seguo.
Tornelli.
(Ma dove sono? Allo stadio?)
Questo imprevisto mi rallenta e perdo il mio faro.
Per fortuna una signora delle pulizie mi indica la strada.
Entro negli spogliatoi.
Ci sono cartelli con divieti ovunque.
Fare la doccia prima di entrare. Non lasciare incustodite le borse. Non cambiarsi negli spogliatoi.
(E dove allora?)
Con lentezza esagerata mi cambio.
Più che spogliarmi, studio i movimenti degli altri.
Vai. Mi muovo.
Primo problema. Sul mio armadietto non c'è il numero.
Anzi, su tutti.
Cerco un punto di riferimento, uno striscio, un qualcosa.
Mi baserò sul nulla.
E' sempre meglio di niente.
Doccia. E si entra.
(Quale vasca?)
Analizzo le vasche.
La primo che vedo è la c1: andatura lenta.
Mia.
(Qui però vedo solo velocisti)
Ma davanti a me una vecchietta scende le scalette e mi conforta.
L'acqua sarà calda, immagino.
Sarà nel senso che lo sarà quando io uscirò.
Perché appena entro devo subito scattare.
In testa ho una mezzoretta di prestazioni tranquille.
D'altra parte è quasi un anno che sono fermo.
Parto.
Secondo problema. Gli occhialini.
Le luci perdono sfumatura. Il cloro invadente mi annebbia la vista.
Devo stare attento.
Anche perché davanti a me ogni tanto si mette quella vecchietta a farmi da tappo.
Non vorrei dover fare la prima constatazione amichevole in piscina.
2 vasche alla volta più un riposo di due minuti.
Il ritmo sarà questo.
Non strafaccio, ma faccio.
D'altra parte alla 12esima vasca sento mancare le prime forze.
E lo stile è libero di andare dove gli pare.
Arrivo alla 24esima proprio quando l'orologio mi ricorda che ho appena fatto un'ora.
Bene così.
Anche perché nell'ultima vasca le dita del piede destro s'intrecciavano fra loro.
Insoliti crampi del terzo tipo.
Esco dalla vasca.
L'apoteosi.
Mi sento Phelps.
Anzi, sono Phelps.
Ho la sensazione di essermi allargato come Hulk.
Le mi spalle pulsano potenza.
Probabilmente ho la circonferenza di una maggiorata.
Ma le cose cambiano in fretta.
Già al secondo passo sono diventato Rosolino.
L'involuzione della specie è prossima allo zero.
E tocca la vetta in doccia.
Esattamente quando alzo il braccio sinistro per distribuire il doccia schiuma.
(ma c'è un muscolo lì?)
Allarme muscoli.
L'adrenalina cala sotto l'effluvio di una doccia calda.
Davanti a me, due uomini con della carne in eccedenza si abbassano il costume per lavarsi nelle parti intime.
L'ascesa all'Olimpo è terminata.
Evidentemente devo aver sbagliato strada.
E sono arrivato agli Inferi.
Sotto le vesti di Poldo.
Torno a casa.
I passi rallentano.
Gli occhi sembrano spargere raggi di fuoco.
Il mio encefalogramma è così piatto che solo Biscardi può meritarsi la mia attenzione.
Prima del tracollo.
Check up del giorno dopo:
Tricipiti indolenziti.
Non so quale muscolo del braccio destro inquieto.
Dal nome potrebbe sembrare una piscina orribile, invece si presenta bene.
E soprattutto è a 3 minuti da casa mia.
Alla cassa mi lascio affascinare dall'edilizia fascista.
La frase del D'annunzio scolpita in alto mi conquista del tutto.
Ci siamo. E' lo sport per me.
E per la mia schiena che ultimamente reclama attenzioni.
Pago.
Chiedo informazioni.
E' bello come diano sempre tutto scontato.
Tranne l'abbonamento.
Il metodo migliore è sempre quello di seguire la persona più avanti che avanza con passo sicuro.
La seguo.
Tornelli.
(Ma dove sono? Allo stadio?)
Questo imprevisto mi rallenta e perdo il mio faro.
Per fortuna una signora delle pulizie mi indica la strada.
Entro negli spogliatoi.
Ci sono cartelli con divieti ovunque.
Fare la doccia prima di entrare. Non lasciare incustodite le borse. Non cambiarsi negli spogliatoi.
(E dove allora?)
Con lentezza esagerata mi cambio.
Più che spogliarmi, studio i movimenti degli altri.
Vai. Mi muovo.
Primo problema. Sul mio armadietto non c'è il numero.
Anzi, su tutti.
Cerco un punto di riferimento, uno striscio, un qualcosa.
Mi baserò sul nulla.
E' sempre meglio di niente.
Doccia. E si entra.
(Quale vasca?)
Analizzo le vasche.
La primo che vedo è la c1: andatura lenta.
Mia.
(Qui però vedo solo velocisti)
Ma davanti a me una vecchietta scende le scalette e mi conforta.
L'acqua sarà calda, immagino.
Sarà nel senso che lo sarà quando io uscirò.
Perché appena entro devo subito scattare.
In testa ho una mezzoretta di prestazioni tranquille.
D'altra parte è quasi un anno che sono fermo.
Parto.
Secondo problema. Gli occhialini.
Le luci perdono sfumatura. Il cloro invadente mi annebbia la vista.
Devo stare attento.
Anche perché davanti a me ogni tanto si mette quella vecchietta a farmi da tappo.
Non vorrei dover fare la prima constatazione amichevole in piscina.
2 vasche alla volta più un riposo di due minuti.
Il ritmo sarà questo.
Non strafaccio, ma faccio.
D'altra parte alla 12esima vasca sento mancare le prime forze.
E lo stile è libero di andare dove gli pare.
Arrivo alla 24esima proprio quando l'orologio mi ricorda che ho appena fatto un'ora.
Bene così.
Anche perché nell'ultima vasca le dita del piede destro s'intrecciavano fra loro.
Insoliti crampi del terzo tipo.
Esco dalla vasca.
L'apoteosi.
Mi sento Phelps.
Anzi, sono Phelps.
Ho la sensazione di essermi allargato come Hulk.
Le mi spalle pulsano potenza.
Probabilmente ho la circonferenza di una maggiorata.
Ma le cose cambiano in fretta.
Già al secondo passo sono diventato Rosolino.
L'involuzione della specie è prossima allo zero.
E tocca la vetta in doccia.
Esattamente quando alzo il braccio sinistro per distribuire il doccia schiuma.
(ma c'è un muscolo lì?)
Allarme muscoli.
L'adrenalina cala sotto l'effluvio di una doccia calda.
Davanti a me, due uomini con della carne in eccedenza si abbassano il costume per lavarsi nelle parti intime.
L'ascesa all'Olimpo è terminata.
Evidentemente devo aver sbagliato strada.
E sono arrivato agli Inferi.
Sotto le vesti di Poldo.
Torno a casa.
I passi rallentano.
Gli occhi sembrano spargere raggi di fuoco.
Il mio encefalogramma è così piatto che solo Biscardi può meritarsi la mia attenzione.
Prima del tracollo.
Check up del giorno dopo:
Tricipiti indolenziti.
Non so quale muscolo del braccio destro inquieto.
lunedì 22 marzo 2010
Alice nel paese delle delusioni.
Se non fosse per questi due panzoni.
Se non fosse per Stregatto.
E se non fosse per le scimmie d'arredamento nel palazzo della Regina Rossa (particolare tra l'altro che devi cercare con gli occhi perché oltre i primi piani protagonisti), Alice di Tim Burton sarebbe da evitare del tutto.
Ennesima delusione del 3d.
E di mastro Burton.
Se non fosse per Stregatto.
E se non fosse per le scimmie d'arredamento nel palazzo della Regina Rossa (particolare tra l'altro che devi cercare con gli occhi perché oltre i primi piani protagonisti), Alice di Tim Burton sarebbe da evitare del tutto.
Ennesima delusione del 3d.
E di mastro Burton.
giovedì 18 marzo 2010
Il potere di.
Non mi interessa l'ascia bipenne.
Non chiedo l'invisibilità.
Non voglio trasformarmi in roccia.
Non mi sento di gomma.
Non divento tutto verde.
Non sogno una forza sovrumana.
Non ho il dono dell'ubiquità.
Non sarebbe bello arrivare sulla luna con un salto.
Non sarebbe cortese una vista a raggi x.
Non sputo fuoco.
Non sono attratto dalla lettura della mente.
Non chiedo di influenzare i pensieri della gente.
Non corro più veloce della luce.
Ma se proprio dovessi essere morso da qualche ragno radioattivo, gli chiederei di darmi un altro potere.
Il controllo del tempo.
Solo nella funzionalità di stand-by.
Per riposare mezz'ora in più al mattino, arrivando puntuale al lavoro.
Per non dover saltare pausa pranzo.
Per entrare in un negozio anche alle 19.29.
Per leggere tutti i libri che mi attendono sul comodino.
Per ricaricare il cellulare in un attimo.
Per amoreggiare una notte intera.
Per non far scadere l'insalata in frigo.
Per fare la lavatrice alle due di notte.
Per arrivare primo alla maratona di New York.
Per riprendere il mio tempo.
Non chiedo l'invisibilità.
Non voglio trasformarmi in roccia.
Non mi sento di gomma.
Non divento tutto verde.
Non sogno una forza sovrumana.
Non ho il dono dell'ubiquità.
Non sarebbe bello arrivare sulla luna con un salto.
Non sarebbe cortese una vista a raggi x.
Non sputo fuoco.
Non sono attratto dalla lettura della mente.
Non chiedo di influenzare i pensieri della gente.
Non corro più veloce della luce.
Ma se proprio dovessi essere morso da qualche ragno radioattivo, gli chiederei di darmi un altro potere.
Il controllo del tempo.
Solo nella funzionalità di stand-by.
Per riposare mezz'ora in più al mattino, arrivando puntuale al lavoro.
Per non dover saltare pausa pranzo.
Per entrare in un negozio anche alle 19.29.
Per leggere tutti i libri che mi attendono sul comodino.
Per ricaricare il cellulare in un attimo.
Per amoreggiare una notte intera.
Per non far scadere l'insalata in frigo.
Per fare la lavatrice alle due di notte.
Per arrivare primo alla maratona di New York.
Per riprendere il mio tempo.
martedì 16 marzo 2010
Liftingba (come "rifarsi" vivi, dopo essere morti).
Sulla via di Damasco, incontrai un mezzo busto e due gambe.
Il primo mi insegnò a restare fermo nelle mie decisioni.
Le seconde a correre sopra nessuna impronta già stampata a terra.
Poi chiusi il libro e chiesi al comodino cosa offriva il programma del giorno dopo. Uguale al giorno prima di fissare altri programmi, mi rispose.
Il primo mi insegnò a restare fermo nelle mie decisioni.
Le seconde a correre sopra nessuna impronta già stampata a terra.
Poi chiusi il libro e chiesi al comodino cosa offriva il programma del giorno dopo. Uguale al giorno prima di fissare altri programmi, mi rispose.
giovedì 11 marzo 2010
L'uomo che si sentiva un codice colore.
Il grigio dei capelli.
Il grigio della cenere.
Il grigiore delle città industrializzate.
Ma anche la materia grigia.
Il grigio perla.
Il grigio come espressione di equilibrio perché nasce dal miscuglio di bianco e nero.
E come l'80% del mio guardaroba.
ps: considerazione nata dopo aver acquistato 3 capi grigi nel giro di mezz'ora.
Il grigio della cenere.
Il grigiore delle città industrializzate.
Ma anche la materia grigia.
Il grigio perla.
Il grigio come espressione di equilibrio perché nasce dal miscuglio di bianco e nero.
E come l'80% del mio guardaroba.
ps: considerazione nata dopo aver acquistato 3 capi grigi nel giro di mezz'ora.
venerdì 5 marzo 2010
Una cosa che non capisco.
Ultimo campagna pubblicitaria Volvo:
"Nella vita c’è molto più di una Volvo.
Ecco perché ne guidi una."
Ti devi accontentare?
Poco pubblicitario.
La Volvo è tutto nella vita?
Non dice questo.
Ma che c***o vuol dire?
"Nella vita c’è molto più di una Volvo.
Ecco perché ne guidi una."
Ti devi accontentare?
Poco pubblicitario.
La Volvo è tutto nella vita?
Non dice questo.
Ma che c***o vuol dire?
mercoledì 3 marzo 2010
Storia di una mano destra che volle essere famosa.
Alla Prima di Mine Vaganti.
Dopo la visione, fuori dal cinema.
Con un bicchiere di vino bianco nel sangue.
Mi allontano dalle olive ascolane del banchetto.
Cerco, ma non trovo Ozpetek.
Lo conosco.
Ci conosciamo, abbiamo appena fatto un lavoro insieme.
Una sua occhiata sbucata dal nulla fra mille braccia e saluti mi conduce da lui.
Pochi passi e divento perplesso.
Accanto a sé ha l'ex divo delle ragazzine "mocciose",
ormai impegnato in una serie di film d'autore per ripulire la fedina penale.
Riccardo-tre-metri-sopra-il-cielo-Scamarcio.
La sua presenza un po' mi blocca.
Se proprio volessi salutare qualcuno del cast, mi butterei sulla Crescentini.
Assente, non giustificata. Almeno da me.
Ma io voglio salutare Ferzan.
Avanzo.
Eccomi.
"Complimenti."
"Grazie..."
(Ma che fa?)
Si gira verso quegli occhi di ghiaccio che hanno sciolto tante ragazzine.
"Lui è uno della pubblicità con il quale ho lavorato..."
(Ferzan, che fai)
Mi guarda.
Sento la sua faccia mono-espressiva da film western.
Mi sale un senso innaturale di orgoglio immotivato.
Decido di non fare la prima mossa.
In quel momento siamo due conoscenti di Ferzan.
Siamo alla pari.
Lui non è il divo, io non sono il suo fan.
Lui non è splendido, io non sono da buttare.
Anzi, per uno strano gioco prospettico mi sento 3 metri sopra il marciapiede di lui.
Lo guardo, dalle mie labbra non esce favella.
E' il suo turno, non il mio.
E' passato al massimo un secondo, ma nella mia testa siamo già ai titoli di coda.
Riccardo-Step- Scamarcio mi tende la mano.
(Aspetta ancora un po', resisti)
Accenno un movimento simile e speculare al suo.
(Ci sei quasi, resisti)
"Ciao... Riccardo."
(Hai vinto, ora tocca a te)
"Ciao... Mattia."
Ho rotto l'ordine delle cose.
Per soli due secondi, ma ho rovesciato la realtà.
E continuo a farlo (onestamente senza pensarci) non aggiungendo neanche un "bravo" a colui che è il protagonista del film.
Faccio di più.
Lo ignoro.
"Senti, Ferzan..."
Dopo la visione, fuori dal cinema.
Con un bicchiere di vino bianco nel sangue.
Mi allontano dalle olive ascolane del banchetto.
Cerco, ma non trovo Ozpetek.
Lo conosco.
Ci conosciamo, abbiamo appena fatto un lavoro insieme.
Una sua occhiata sbucata dal nulla fra mille braccia e saluti mi conduce da lui.
Pochi passi e divento perplesso.
Accanto a sé ha l'ex divo delle ragazzine "mocciose",
ormai impegnato in una serie di film d'autore per ripulire la fedina penale.
Riccardo-tre-metri-sopra-il-cielo-Scamarcio.
La sua presenza un po' mi blocca.
Se proprio volessi salutare qualcuno del cast, mi butterei sulla Crescentini.
Assente, non giustificata. Almeno da me.
Ma io voglio salutare Ferzan.
Avanzo.
Eccomi.
"Complimenti."
"Grazie..."
(Ma che fa?)
Si gira verso quegli occhi di ghiaccio che hanno sciolto tante ragazzine.
"Lui è uno della pubblicità con il quale ho lavorato..."
(Ferzan, che fai)
Mi guarda.
Sento la sua faccia mono-espressiva da film western.
Mi sale un senso innaturale di orgoglio immotivato.
Decido di non fare la prima mossa.
In quel momento siamo due conoscenti di Ferzan.
Siamo alla pari.
Lui non è il divo, io non sono il suo fan.
Lui non è splendido, io non sono da buttare.
Anzi, per uno strano gioco prospettico mi sento 3 metri sopra il marciapiede di lui.
Lo guardo, dalle mie labbra non esce favella.
E' il suo turno, non il mio.
E' passato al massimo un secondo, ma nella mia testa siamo già ai titoli di coda.
Riccardo-Step- Scamarcio mi tende la mano.
(Aspetta ancora un po', resisti)
Accenno un movimento simile e speculare al suo.
(Ci sei quasi, resisti)
"Ciao... Riccardo."
(Hai vinto, ora tocca a te)
"Ciao... Mattia."
Ho rotto l'ordine delle cose.
Per soli due secondi, ma ho rovesciato la realtà.
E continuo a farlo (onestamente senza pensarci) non aggiungendo neanche un "bravo" a colui che è il protagonista del film.
Faccio di più.
Lo ignoro.
"Senti, Ferzan..."
lunedì 1 marzo 2010
Mistero svelato.
Sabato mi sono fatto una doppietta cinematografica.
Partendo dal film d'autore per arrivare all'opera più natalizia.
E alla fine ho capito il motivo per cui i cinepanettoni
incassano almeno 20 milioni di euro ogni anno.
Un passo alla volta.
Come primo film ho visto il Dott. Parnassus che aveva tutto per stupirmi.
Forse, però, la prematura morte di Ledger ha scombussolato la sceneggiatura stessa (tra l'altro l'attore entra in scena da impiccato: malaugurata previsione o portasfiga?).
Il bandolo della matassa della storia ad un certo punto sembra perdersi.
E la lentezza della narrazione non viene salvata dalla fantasmagoria delle immagini.
Se non fosse per un grande Tom Waits che interpreta il diavolo...
In seconda serata, invece, mi sono dedicato ad un film di tutt'altro respiro.
Natale a Beverly Hills.
Se lo analizziamo bene, non succede assolutamente nulla.
La storia è ridotta ai minimi termini e gli espedienti comici fanno parte del grande canovaccio da dove De Laurentis attinge ogni anno per farci un film.
Il solito De Sica che va dietro alle donne.
Il solito contrasto Roma- Milano.
I soliti giochi di parole sul sesso (Marchese Della Fregna).
Però questa trama silenziosa riesce a strapparti 2 o 3 risate (non di più).
E ti solleva i pensieri per 98 minuti.
Se osserviamo come il Dott. Parnassus duri 118 minuti, notiamo come ci siano solo 20 minuti di differenza. Eppure le reazioni alle loro visioni sono disparate. Si prova la netta sensazione che il tempo sia relativo: nello stesso passaggio temporale un minuto può valerne 10.
Morfeo sponsorizza Parnassus, Mercurio presenta De Sica.
Certo, il genere e il tema del film sono parte attiva nella spiegazione finale.
Però la sensazione di vuoto temporale che ti lascia De Sica credo sia il motivo del suo successo.
Ti spegne il cervello e te lo trasporta ad un'ora e mezza dopo, interrompendo i pensieri, i dubbi, i timori. Non ha nessuna pretesa, se non accompagnarti.
Esattamente come quando accendiamo la tv,
anche se siamo in un'altra stanza della casa.
Non importa cosa ci sia, basta che ci sia una voce.
Poi se, casualmente, 7 cinema su 10 programmano Natale a Beverly Hills...
Partendo dal film d'autore per arrivare all'opera più natalizia.
E alla fine ho capito il motivo per cui i cinepanettoni
incassano almeno 20 milioni di euro ogni anno.
Un passo alla volta.
Come primo film ho visto il Dott. Parnassus che aveva tutto per stupirmi.
Forse, però, la prematura morte di Ledger ha scombussolato la sceneggiatura stessa (tra l'altro l'attore entra in scena da impiccato: malaugurata previsione o portasfiga?).
Il bandolo della matassa della storia ad un certo punto sembra perdersi.
E la lentezza della narrazione non viene salvata dalla fantasmagoria delle immagini.
Se non fosse per un grande Tom Waits che interpreta il diavolo...
In seconda serata, invece, mi sono dedicato ad un film di tutt'altro respiro.
Natale a Beverly Hills.
Se lo analizziamo bene, non succede assolutamente nulla.
La storia è ridotta ai minimi termini e gli espedienti comici fanno parte del grande canovaccio da dove De Laurentis attinge ogni anno per farci un film.
Il solito De Sica che va dietro alle donne.
Il solito contrasto Roma- Milano.
I soliti giochi di parole sul sesso (Marchese Della Fregna).
Però questa trama silenziosa riesce a strapparti 2 o 3 risate (non di più).
E ti solleva i pensieri per 98 minuti.
Se osserviamo come il Dott. Parnassus duri 118 minuti, notiamo come ci siano solo 20 minuti di differenza. Eppure le reazioni alle loro visioni sono disparate. Si prova la netta sensazione che il tempo sia relativo: nello stesso passaggio temporale un minuto può valerne 10.
Morfeo sponsorizza Parnassus, Mercurio presenta De Sica.
Certo, il genere e il tema del film sono parte attiva nella spiegazione finale.
Però la sensazione di vuoto temporale che ti lascia De Sica credo sia il motivo del suo successo.
Ti spegne il cervello e te lo trasporta ad un'ora e mezza dopo, interrompendo i pensieri, i dubbi, i timori. Non ha nessuna pretesa, se non accompagnarti.
Esattamente come quando accendiamo la tv,
anche se siamo in un'altra stanza della casa.
Non importa cosa ci sia, basta che ci sia una voce.
Poi se, casualmente, 7 cinema su 10 programmano Natale a Beverly Hills...
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